Ieri sera a Cremona abbiamo avuto l’occasione di parlare a lungo con i genitori di Mattia, uno dei quattro giovani No Tav che dal 9 dicembre 2013 si trova a vivere in un carcere in regime di alta sicurezza (AS2). Ma perchè l’accusa è di terrorismo, ma soprattutto cosa significa vivere questo tipo di detenzione?
L’accusa di terrorismo e il regime di alta sorveglianza trovano il loro appiglio nell’art. 270 sexies del codice penale, che dal 2005, dopo gli attentati alle metropolitane di Madrid e Londra, entrò a far parte dei «pacchetti sicurezza». Lo stesso anno, caso vuole, il movimento No Tav conseguì la sua più importante vittoria, bloccando e scongiurando l’apertura del cantiere per il cunicolo geognostico previsto a Venaus. Se in apparenza queste due cose non sembrano correlate basta leggere l’articolo suddetto per capire che non è così: «Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto […]»
Dato che il movimento No Tav vuole impedire il colossale sperpero di denaro previsto per la costruzione della linea TAV Torino-Lione, voluta dallo Stato, ogni iniziativa in tal senso, anche un semplice manifestazione, può essere ricondotta a «finalità di terrorismo». Questo è il motivo per cui su Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia pende l’accusa di terrorismo. Le conseguenze? Ad oggi vivere in un regime di alta sicurezza prima di ricevere una sentenza definitiva.
L’alta sicurezza è una sezione del carcere in cui sono riuniti tutti i condannati per reati di tipo associativo (mafia, terrorismo, etc.), che sono sottoposti ad una sorveglianza più stretta rispetto ai detenuti comuni. Nell’alta sicurezza si viene a contatto (molto limitato) solo con i prigionieri della stessa sezione (se ci sono) e con le guardie carcerarie. Sono permesse solo 2 ore d’aria la mattina, e 2 la sera per un totale di 4 ore d’aria al giorno. Le ore d’aria vanno passate in spazi molto limitati, normalmente una stanza o un corridoio di qualche metro. L’orizzonte visivo massimo all’interno del carcere per questo tipo di detenzione è di circa 30 metri.
Il plexiglass delle finestre posto tra il “mondo” e le sbarre, non permette di poter guardare fuori dalla cella e filtra la luce del sole obbligando i detenuti a ricorrere alla luce artificiale anche durante la giornata, con effetti molto dannosi per l’organismo, in particolare per quanto riguarda la vista.
Queste celle sono isolate anche acusticamente: quello che succede fuori o quello che succede in altre parti del carcere non deve trapelare, costringendo così i detenuti a vivere in una condizione di isolamento acustico.
Questo regime priva inoltre le persone di momenti di socialità importanti, come il poter condividere un pasto insieme.
Prevede inoltre solo 4 ore di colloquio al mese, esclusivamente con i famigliari; il contatto con altre persone è talmente proibito che in qualsiasi momento, anche durante gli spostamenti all’interno del carcere, le guardie impediscono il contatto, anche casuale, con altri detenuti. Tutto questo, con l’andare del tempo, dovrebbe portare ad un malessere e a una deprivazione talmente forte, da spingere il detenuto a cedere, soprattutto a dissociarsi da quello che ha fatto e ancora più dal movimento o gruppo di cui si sente parte.
Vivere in questo tipo di detenzione è paragonabile più ad un ospedale psichiatrico, che ad un carcere, a cui va aggiunto anche l’aspetto della “ricerca”. I detenuti con questo tipo di trattamento sono considerati infatti oggetti di studio, dove tutto quello che avviene, viene detto o fatto viene monitorato, registrato, scritto, descritto e analizzato.
Anche un semplice scambio di battute tra le celle viene annotato, per fornire materiale di analisi per capire e studiare questo “fenomeno”.
Queste sono solo alcune delle inumane imposizioni a cui Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia si trovano a vivere da dicembre dello scorso anno. Questa repressione, che colpisce “pochi” per colpire “molti”, sta avendo e avrà sempre più conseguenze devastanti, riguardando per ora questi quattro ragazzi che rischiano di passare la loro gioventù in prigione, ma che potrebbe colpire indifferentemente chiunque pronunci un “no” o dissenta da qualsiasi decisione imposta dallo Stato, giusta o sbagliata che sia.
E’ per questo motivo che non dobbiamo lasciarli soli, e invitiamo tutti a scrivere a Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia. Anche solo una lettera ricevuta può accorciare di qualche minuto il devastante isolamento che vivono quotidianamente.
Trasmettiamo loro la forza di combattere e non mollare, perchè la loro lotta è la nostra lotta.
Di seguito trovate gli indirizzi ai quali potete scrivere:
Claudio Alberto
Chiara Zenobi
Casa Circondariale
Via Maria Adelaide Aglietta, 35
10151 Torino
Mattia Zanotti
Niccolò Blasi
Casa di Reclusione
Via Casale San Michele, 50
15100 Alessandria
Per maggiori informazioni:
– intervista a due ragazzi che sono stati reclusi in regime di alta sicurezza