
Una decina di pendolari ha deciso di occupare i binari della stazione di Treviglio per protestare contro la cancellazione del treno “Verona-Milano” che ferma a Romano di Lombardia alle 8.03. E’ il treno più usato da lavoratori e studenti. L’avviso di cancellazione è stato comunicato solo 15 minuti prima, causando non pochi disagi alle persone in attesa di raggiungere il posto di lavoro o l’università.
I pendolari sono stati costretti a salire sul “Brescia-Sesto San Giovanni” delle 8.15, giunto a Romano con sole tre carrozze e già pieno. Molte persone non sono riuscite nemmeno a salire perché i convogli erano completamente intasati, con gente ammassata in piedi. Alla stazione di Treviglio, per protesta, una decina di persone hanno occupato i binari bloccando il treno per circa trenta minuti. Il personale delle Ferrovie dello Stato ha avvertito le forze dell’ordine. Sul posto sono giunti carabinieri, che hanno ristabilito la calma. Di fronte alle proteste degli altri pendolari, rimasti sul treno, i manifestanti hanno deciso di liberare i binari. La situazione è però sempre più tesa. Lavoratori e studenti non riescono più a sostenere il viaggio quotidiano verso Milano in condizioni così precarie.
Che risposte si possono dare per evitare che anche il ” diritto alla mobilta” diventi l’ennesima guerra tra poveri, tra chi viaggia per raggiungere il posto di lavoro o di studio e chi sul treno o in stazione sta’ gia’ lavorando?
In questi giorni abbiamo letto e ascoltato le dichiarazioni di Rifondazione e Legambiente sulla questione TAV Brescia – Verona. Contrari all’Alta Velocità e all’attuale percorso, chiedono e sostengono come opzione alternativa il quadruplicamento in sede della linea storica per rispondere alle esigenze di mobilità del nostro territorio, per contenere i costi di realizzazione ed evitare un maggiore consumo di suolo. Su questa proposta ci pare interessante intervenire, aldilà dei dati tecnici, per fare alcune considerazioni di carattere politico e per sollecitare un dibattito con queste componenti con cui condividiamo la battaglia contro il sistema delle grandi opere.
La prima considerazione parte dalla natura di queste grandi opere. Esse rappresentano la concretezza dei meccanismi economici speculativi legati ai profitti della rendita finanziaria e alla concentrazione di enormi capitali nelle mani di quelle lobby economiche, che di fatto monopolizzano anche la vita politica di questo paese (la vicenda Imu – Bankitalia è solo l’ultimo capitolo di questa storia). In questo senso, quindi, le grandi opere non possono e non devono semplicemente essere considerate come singoli progetti più o meno impattanti, più o meno realizzabili tecnicamente. Ma bensì rappresentano un meccanismo di espropriazione diretta della ricchezza a favore dei grandi capitali finanziari, che in maniera oramai feudale dominano e consumano le risorse di ogni territorio (questo vale sia che si tratti di una ferrovia, sia che si tratti di un’autostrada o di un grande evento come Expo o una qualche grande manifestazione sportiva).
Proprio per questo ci pare troppo limitante ridurre l’opposizione al Tav a Brescia alla richiesta di un quadruplicamento della linea Brescia – Verona. Lasciando per un momento stare la questione dei tagli a servizi fondamentali come sanità, istruzione, ricerca, welfare, cura del territorio, bonifiche, ecc., sono anni ormai che assistiamo alla dismissione del trasporto locale, regionale e finanche di quei treni a lunga percorrenza che connettevano il Nord e il Sud della penisola con il resto d’Europa (vedi la fine degli intercity notturni e dei regionali veloci Milano – Venezia). Sempre più numerose corse sono state soppresse, le tariffe aumentano e tutto ciò non è altro che la diretta conseguenza dell’avvento dell’alta velocità e della privatizzazione di Trenitalia. Ormai evitare di viaggiare su treni sovraffollati, sporchi e in ritardo è diventato un bene di lusso.
Il diritto alla mobilità è un diritto fondamentale della persona. Oggi più che mai, in città soffocate dal traffico, pensare e riprogettare la mobilità in chiave sostenibile diventa centrale: dalla riduzione del traffico pesante (che può avvenire solo attraverso la rilocalizzazione dei sistemi produttivi e lo spegnimento di tutti quegli impianti industriali inutili e sovrastimati, vedi, ad esempio, cementifici, acciaierie e inceneritori) a nuovi sistemi di mobilità collettiva ed accessibile. Ma sappiamo bene che questa ristrutturazione non può essere lasciata allo stesso mercato che oggi ci impone le grandi opere come destino ineludibile. Un processo che deve per forza di cose parlare il lessico dei beni comuni, della progettazione partecipata e della cooperazione sociale, tenendo ben lontano il dogma del profitto a tutti i costi e ogni fondamentalismo sviluppista (quello che sta dietro ad espressioni del tipo “Ma qualcosa bisognerà pur fare”, “non si può tornare al passato”, ecc.).
Per questo motivo ci sentiamo di rilanciare in questa maniera … altro che quadruplicamento della linea, mobilità sostenibile e accessibile per tutti!